Antonio Di Pietro ha rilasciato un’intervista al Fatto che mi hanno fatto cadere le braccia. Dice: “Farò campagna per il sì”.
Incredibile
quanto un uomo che dovrebbe conoscere le motivazioni che hanno spinto questa
destra a volere la separazione delle carriere tra requirenti e giudicanti, per
distinguersi si metta contro tutti coloro che avversano con motivazioni molto
profonde questa decisione del governo Meloni.
Da Gratteri
a Villone, da Gustavo Zagrebelsky a Di Matteo per ricordare qualche nome, hanno
spiegato perché questa scelta sia pericolosa per i comuni cittadini e per la
democrazia del Paese.
E poi: “Non lascerò che alcun partito ci metta il
cappello sopra”. Ma questo che Di Pietro lo voglia o no sarà inevitabile,
durante la campagna del referendum confermativo. Questa destra lo porterà come
un trofeo e lui non potrà farci nulla.
Poi entra
nello specifico e dice che è per il “Sì” perché così si ci sarà “l’estromissione del Consiglio superiore
della magistratura dalle scelte disciplinari sui magistrati e l’introduzione
del sorteggio per togliere potere alle correnti”.
Quindi per
Di Pietro questi due argomenti, sono per lui decisivi per la sua scelta di
campo. La certezza che questo porterà inevitabilmente il pm sotto il governo, che
gli indicherà i reati da perseguire, non lo preoccupano. Che se vincesse il
“Sì” il Pm diventerebbe una specie di poliziotto teso a far condannare e non
come oggi a cercare la verità. Diventerebbe come un avvocato che deve cercare
di far assolvere il proprio cliente anche se sa che è colpevole altrimenti
commette reato di “infedele patrocinio”. Mentre il nuovo pm cercherà di far
condannare l’imputato anche se sa che è innocente. Oggi se un pm nasconde delle prove, degli indizi che scagionano l’imputato, commette un reato per: “Rifiuto di atti d’ufficio”. Ecco perché
il pm deve rimanere nell’alveo della magistratura com’è attualmente. Deve cercare la verità e non una condanna a tutti i costi dell'imputato, come l'avvocato fa con il suo cliente nel cercare di farlo assolvere anche se sa che è colpevole.
Se Di Pietro
sceglie di votare “Sì” perché ci sono anche cose positive nella separazione
delle carriere è come dire che Mussolini, Hitler o Stalin, hanno fatto anche
cose buone, per cui non sono stati dei mostri come la Storia ci racconta.
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